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ESCLUSIVO! 2
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  Titanic-Erika 

Da Leo ad Omar: delirio dell'innamoramento

di  Prof. Saverio Fortunato*
(*cultore per l’insegnamento di criminologia all’Università di L’Aquila, 
specialista in criminologia clinica)


Cominciamo con una premessa: a noi sembra condivisibile la teoria di kappler (1960) sul fatto che i mass-media nella psiche dell'individuo spettatore-massa non creano modelli di comportamento, stereotipi e quant'altro, ma gli consolidano quelli che già in lui sono esistenti. 

Erika ha scritto delle lettere nel '98 a Marco Nicoletta, presidente del “Fans Club Leonardo Di Caprio”, nell’intento che fossero destinate al divo di Hollywood, del quale ne era una perduta ammiratrice. Dal contenuto delle lettere e dei disegni allegati, emerge un innamoramento non corrisposto, ma del tutto immaginario verso il mito Leonardo Di Caprio, come era tipico riscontrare due anni fa, tra le adolescenti, che affollavano le sale  cinematografiche per vedere il superkolossal Titanic (durata 194 min., vincitore di 11 premi Oscar). 
Addirittura, una scolara della Scuola Media "G. Pascoli" di Catanzaro, mi ha confidato di averlo visto 40 volte, tenendo conto, che durava tre ore, quella ragazzina (dai genitori ignari degli effetti dei media)  ha trascorso ben 1200 ore davanti al Grande Schermo, per ammirare la drammatica storia d'amore, tra Leonardo Di Caprio e l'attrice Kate Winslet.
Nel film la bella protagonista s'innamora di Di Caprio, contro il volere della sua famiglia, che combatte e disprezza. Insieme lottano ed affrontano ogni difficoltà,  fino alla morte fisica di lui, che si si sacrifica per lei, che si lascerà consumare nel tempo dai ricordi struggenti del passato.
Erika di questa finta storia di celluloide ha introiettato dentro di sé il ruolo di Kate, innamorandosi di Leo nel suo immaginario, ha poi proiettato questo falso innamoramento, in parte, verso Marco, quale figura di ripiego (in assenza reale dell'originale si accontenta, diciamo così, della "brutta copia"); ed, in seguito, totalmente verso Omar, che era lì, a portato di mano nella sua cittadina. Omar, potrebbe ricordare il Di Caprio idealizzato da Erika, non per l'impareggiabile bellezza del divo, ma perché, come il personaggio del film, anch'egli non è ricco, è un po' ribelle e, soprattutto,  trasgressivo al punto giusto, ossia, quanto basta per essere antipatico alla famiglia di lei, benpensante e borghese, proprio come quella di Kate.  L'immaginario di Erika diventa realtà deviata e deviante, complotto e psicosi, amore, vita e morte in un cocktail paranoico, che coinvolge e affonda Omar, distruggendolo sia come inconsapevole vittima (del falso innamoramento di lei)  sia come carnefice, guidato dal suo delirio schizofrenico, che, a sua volta, insegue il delirio paranoico di lei.
Il delirio schizofrenico, al contrario di quello paranoico, appare bizzarro, incoerente, mutevole, illogico, disorganizzato, fantastico e si avvale costantemente nelle sue espressioni del modo caratteristico di ragionare del disturbo formale positivo del pensiero (che ne costituisce la causa, mentre il delirio ne costituisce uno degli effetti). 
Il paranoico, invece, irrigidisce la struttura e privilegia la coerenza interna a discapito della verosimiglianza delle previsioni. Così si muove verso un "dogmatismo" sempre più caricaturale e verso la sottomissione assoluta dei dati alla teoria, dell'immaginativa alla realtà. Il sistema delirante paranoico diventa sempre più coerente e strutturato, tutto spiega e riesce così a metabolizzare ogni tentativo di confutazione autocorroborandosi con la crescita a dismisura di ipotesi ausiliarie ad hoc! (per esempio, la costruzione inamovibile dell'idea schematica amici o nemici; o con me o contro di me...).
Nel film Kate sfida la propria famiglia innamorandosi di Di Caprio, insieme, lottano su quella nave teatro e patibolo del loro amore, manifestandosi ripetute prove d'amore (lei che lo libera dalle manette, superando il pericolo dell'acqua dell'oceano che la nave imbarca; lui che supera ogni ostacolo tenendola per mano, prima, per salire dalla stiva alla prua, poi, nelle gelide acque a trovare una zattera, un appiglio galleggiante per non affogare e una volta reperito, lo offre eroicamente a lei, morendo assiderato ed in silenzio). Insieme, dunque, lottano tra la vita e la morte in nome del loro amore promesso. 
Erika s'innamora di Omar sfidando il volere contrario della propria famiglia. A  lui, nello scenario teatrale di Novi Ligure, chiede ripetute prove d'amore, come segno di sfida e bravaria, a conferma del loro amore. Gli chiede di picchiare un ragazzo e Omar lo fa per lei, per sentirsi il suo eroe. Gli chiede di fare sesso a casa sua e lui ci va sfidando il pericolo che possano sopraggiungere i genitori di Erika, che, non apprezzandolo come fidanzato, ne scaturirebbe inevitabilmente una lite.  Omar però  si offre, calato  -suo malgrado- in quel ruolo "eroico" alla Di Caprio, che sferza ogni pericolo ed è pronto a sacrificarsi per la sua amata: bella, ricca, passionale, invidiata e invidiabile.  Un rapporto di falso innamoramento del tutto patologico ed, a sua volta, fonte di patologie. 
Nel film, ossia nell'arte della finzione per eccellenza,  Kate riesce a sopravvivere alle fredde acque dell'oceano, ma poi affonda nella solitudine della vita fino alla vecchiaia, lasciandosi dietro le  spalle solo morte  e ricordi insormontabili e strazianti.  
Erika  - fatte le debite proporzioni- è sopravvissuta allo scenario di morte e tradimenti che ha avuto come vittime reali, purtroppo,  sua madre e il fratellino,  per poi affondare dietro una fredda maschera diabolica, lasciandosi dietro le spalle, solo morti e  ricordi insormontabili e strazianti.
                                    Psicoanalisi del falso innamoramento
La capacità di vivere l'innamoramento nasce dalla famiglia d'origine. Da una parte il modello della coppia genitoriale funge da riferimento (per esempio, il modo di manifestare l'affetto, di essere coppia, i ruoli assunti), dall'altra i bisogni personali di ciascun genitore possono limitare il campo d'azione del figlio, vincolandolo nella sua libertà di decidere. Ed è quest'ultimo aspetto, che può condurre a patologie criminogene. Il falso innamoramento è proprio quello in cui la scelta affettiva è stata frutto di una scelta razionale, calcolata, fissata da criteri precisi: "L'altro rappresenta la realizzazione dei nostri bisogni" (Witaker, 1990). "Il far innamorare o innamorarsi rappresentano una prima conferma alla propria identità personale, determinato da come sono state organizzate soggettivamente" (Imbasciati, 1989).Nel caso di Erika c'è un falso innamoramento verso il mito e un altro verso la figura di ripiego, Omar.
L'innamoramento verso il mito è un falso innamoramento, dato che sin dalla cultura primitiva il mito esplica una funzione indispensabile: è l'espressione, la valorizzazione, la codificazione di un credo; "il mito è una storia sacra difficile da scardinare" (Pace, 1984). Possiamo dire, dunque, che  "il mito programma il destino di una persona" (Andolfi;  Peluso, 1987). I riti familiari, invece, hanno il compito di trasmettere ai partecipanti valori, attitudini e modalità comportamentali nei confronti di situazioni specifiche o di vissuti emotivi ad essi collegati. I riti familiari sono influenzati dalle convenzioni e dai valori dell'ambiente culturale esterno. Essi hanno una chiara funzione di apprendimento: "Sono lo strumento per conoscere gli altri e per comportarsi in maniera adeguata  nei loro confronti" (A. Peluso, 1992). Nell'innamoramento lui e lei portano con sé anche le rispettive storie sui grandi temi della vita (il modo di superare piccoli e grandi eventi, il senso della morte o della nascita, la religiosità): insieme devono trovare ideali comuni o un rispetto vero verso gli ideali e le idealità non condivisi dell'altro.
L'uomo del XX Secolo -diceva Pirandello- non fa altro che costruirsi una personalità illusoria: crede di essere quello che non è e non si accorge di come in lui giochi l'influenza alienante della società che lo costringe a mentire a se stesso, ad accettare una falsa morale e ad adattarsi all'ideologia dominante, impedendogli, così, di conoscere la sua vera individualità. 
In famiglia, per esempio, non bisognerebbe mai sottovalutare la prima cotta del figlio o della figlia adolescenti. In essa si vivono le prime emozioni, le delusioni. Occorrerebbe, invece, rendere la crescita biologica in sintonia con quella psicologica. 
L'adolescente vuoto, senza pensieri, che ripete ruoli rigidi appresi soprattutto dai mass-media (Titanic in testa), che costruisce un'identità basata sull'apparenza, sulla finzione e sull'inganno verso sé stesso e gli altri, crea le basi di un adulto superficiale, sballottato dagli eventi, alla ricerca di una pseudofelicità che non raggiungerà mai e che lo porterà, invece, ad affogare non nelle acque dell'oceano, ma nel proprio vuoto e nella propria disillusione.
     
                                                       

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Note. (1) Fonte: Gente n° 14/2001, di Paolo Scarano,  pgg. 50 - 58; Oggi n° 10 pg. 20,