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Come si può uccidere la madre e un fratellino?

Erika e il complesso di Caino

 

di Prof. Saverio Fortunato*

  *cultore per l'insegnamento di criminologia  all'Università di L'Aquila, specialista in Criminologia clinica

Il caso di Erika, che a 16 anni ha complottato con il fidanzatino coetaneo per uccidere la madre e il fratellino, sotto un profilo criminologico clinico può dirci qualcosa. Le domande che ci poniamo sono: com'è possibile, che una figlia uccida la madre e il fratellino? E com'è possibile che ciò accada senza che nessuno, in famiglia  e fuori,  abbia mai sospettato o capito qualcosa? 

La  madre è la più importante persona nella vita del bambino, ed è la prima persona con cui il bambino stesso s'identifica:  sia perché l' ha  generato;  sia perché lo nutre, lo cura, lo gratifica  rispetto i suoi fondamentali bisogni.  In questo primissimo stadio della vita il bambino non sembra in grado di distinguere se stesso da sua madre. Quando lei è calda, amorevole, e calma nelle sue interazioni con il neonato, egli si sente bene con lei. Quando lei è irritata, agitata, o tesa, anch'egli ne risente.  

All'inizio  i bambini d' ambo i sessi s'identificano con la madre. In seguito  s' identificano anche con il padre, ed è suo compito di rendere meno forte il rapporto madre-bambino per consentire al piccolo di acquistare la sua indipendenza dalla madre. I bambini imitano anche altre persone e sviluppano così identificazioni secondarie modellando il proprio carattere. Tale processo non riguarda solo l'infanzia, ma anche l'adolescenza. Le persone di questa età imitano il modo di vestire, di parlare, di atteggiarsi, le abitudini, le pettinature dei loro miti del mondo del cinema, della televisione,  della musica, dello sport. Come Erikson (1959, 1973) ha sottolineato, il compito evolutivo cui si trova di fronte un adolescente implica l'unificazione e l'organizzazione di queste varie e disparate identificazioni in una propria identità durevole, coerente e integrata. Se le cose procedono bene, l'adolescente emerge da questo periodo caotico con un senso stabile della propria identità e con chiari progetti per il futuro, avendo ormai sintetizzato le identificazioni attuali e infantili in un' entità peculiarmente sua.

La tendenza a somigliare a qualcuno che si ammira è comune e comprensibile; tuttavia, tanto gli adulti che i bambini, si identificano spesso anche con persone che essi temono od odiano, soprattutto se simili persone sono in posizione di potere.  Anna  Freud (1946) per prima  richiamò l'attenzione su questo tipo di identificazione  nella sua monografia " L'Io  ed i meccanismi di difesa". Essa descrive come il bambino faccia fronte ad una persona minacciosa identificandosi con essa. Ciò gli consente di trasformarsi da un bambino spaventato in una persona che spaventa. Attraverso questa "identificazione con l'aggressore" il bambino padroneggia  l'angoscia  e la paura. Per esempio, il bambino che  è ferito e spaventato dagli improvvisi scatti di collera della madre altrimenti amorevole, può affrontare la collera , la paura e l'impotenza suscitati in lui da queste esperienze, identificandosi con la persona temuta. Per alcuni giorni dopo l'esperienza traumatica  lo si può osservare mentre sgrida  incollerito  il suo bambolotto o la sorellina o i genitori stessi, allo stesso modo in cui sua madre (o suo padre) lo aveva  sgridato.

Nel caso in esame, Erika, in piena adolescenza ha smesso d'identificarsi con la madre e ha iniziato a tramare, con il fidanzatino coetaneo, nell'intento di punire la madre, "colpevole" perché le ha "sottratto" amore sia verso suo padre, sia generando il fratellino, che, essendo più piccolo, "sottraeva" anch'egli  l'amore e l'attenzione  familiare, che  Erika desiderava unicamente per  sé. Da qui, in uno stato psicotico, due complessi: quello di Caino, che ha portato all'odio verso il fratellino per sentimenti d'invidia e gelosia; e quello edipico, che ha portato all'uccisione della madre, "rivale" negli affetti dal   e verso   il padre e fonte del suo malessere  da e verso il fratellino.


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