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DOSSIER NAZIONALE
SUI CONSULENTI TECNICI DI UFFICIO
*

Premessa

Questo dossier è un primo tentativo di raccogliere dati e opinioni sulla fase della consulenza nei processi penali e civili, area tra le più delicate e problematiche del funzionamento della macchina processuale. Sulla base delle consulenze, infatti, si decidono le cause, si stabilisce chi ha ragione e chi ha torto, si determina lo spostamento da una parte all’altra di somme anche ingenti di denaro, ecc. La consulenza incide, inoltre, sull’andamento dei processo, producendo non pochi rallentamenti e perdite di tempo.
Il lavoro che si presenta non è certamente esaustivo sia dal punto di vista statistico, sia perché non pretende di esaurire tutta la complessità della materia. Esso costituisce però la messa a disposizione di un insieme di dati avente valore operativo. Il fine è, infatti, quello di ottenere indicazioni specifiche e determinate, al livello nazionale, sulle situazioni da modificare e quindi di far mettere in agenda - come accade in altri paesi europei e nell’Unione Europea - la questione della qualità professionale nell’ambito della consulenza tecnica.
In tal senso, il rapporto è il frutto di quella che può essere definita “analisi civica”, vale a dire la raccolta di informazioni messa in opera da persone coinvolte in un problema e nello stesso tempo interessate a riso
lverlo. Questo è il caso di Giustizia per i diritti, una rete di operatori della giustizia - per la gran parte avvocati - impegnati nella riforma della giustizia e del sistema giurisdizionale e interessati a che il punto di vista dei cittadini sia posto al centro del funzionamento del sistema giudiziario. Sono stati raccolti dati e opinioni provenienti da coloro che quotidianamente e professionalmente si misurano con i problemi di organizzazione e di funzionamento del servizio giustizia: avvocati, magistrati e consulenti.
Questo dossier rappresenta solo un punto di partenza per costruire un vero e proprio rapporto su questa area. Esso è comunque utile per raggruppare informazioni che rimangono di solito sussurrate nelle aule giudiziarie e non assurgono mai a precise segnalazioni o denunce agli organi competenti.
Seppure con i limiti indicati sopra, le informazioni raccolte destano vivo allarme in quanto dicono di una situazione caratterizzata dalla incertezza e dalla variabilità, dal mancato rispetto di norme, dalla lunghezza dei tempi delle consulenze tecniche d’ufficio. I problemi maggiori come si vedrà, riguardano:
* la gestione degli albi di consulenti e il loro aggiornamento;
* i criteri di scelta dei consulenti e il controllo di incompatibilità e di indipendenza;
* la standardizzazione dei quesiti e le consulenze erronee;
* il deposito delle consulenze e le sanzioni per i ritardi;
* il costo delle consulenze e l’accesso alla giustizia;
* il peso delle consulenze nel processo e la tutela del contraddittorio.

1. Un precedente: l’area della consulenza come fattore di crisi del processo civile

Un vero e proprio “precedente” del presente dossier è costituito dalla indagine sulla crisi della giustizia civile in Italia, conclusasi nel 1995, commissionata al MFD dal Ministero di Grazia e Giustizia e curata dal punto di vista scientifico dal Cerfe. Nella ricerca furono esaminati 100 casi di cui 76 riguardavano azioni legali civili di risarcimento del danno in materia sanitaria.
Le conclusioni dell’indagine possono essere così riassunte: la scarsa produttività del servizio giustizia nell’ambito civile deriva da fattori legati ai comportamenti professionali, alla cattiva organizzazione del lavoro, all’eccesso di burocrazia e alle complicazioni normative. Tali fattori pesano complessivamente per il 60% e sono superiori ai fattori relativi alla carenza di risorse.
Nell’esame di questi fattori di rallentamento e di disfunzione del processo civile dalla ricerca emergeva con chiarezza come l’area della consulenza fosse ai primi posti della classifica tra i fattori di crisi più ricorrenti e che producevano maggiori danni dal punto di vista dei tempi. Se al primo erano le continue sostituzioni dei giudici, al secondo erano i mancati depositi delle consulenze, al 6° posto le sostituzioni dei consulenti e al 13° la nomina di consulenti troppo occupati.
L’analisi dei cronogrammi relativi a 68 cause concluse con una sentenza, costruiti considerando le udienze tenutesi e quelle rinviate e, più in generale, tutto l’andamento del processo civile, ha dimostrato come alcuni momenti o eventi facessero perdere mesi di tempo.

Solo per fare qualche esempio:
a) per il mancato deposito della consulenza sono stati persi 224 mesi e l’evento si è ripetuto in 20 casi su 68;
b) per la sostituzione del consulente si sono persi complessivamente 72 mesi e l’evento si è ripetuto in 9 casi;
c) a nomina di un consulente troppo occupato ha determinato uno spreco di 16 mesi in un solo processo.

Altro tempo è stato sprecato perché:
d) la consulenza era molto complessa ed è stata chiesta una proroga (9 mesi);
e) il giudice ha impiegato 16 mesi per sciogliere la riserva sulla consulenza;
f)
un errore nella convocazione del consulente da parte della cancelleria ha prodotto 7 mesi di ritardo (un problema riguarda anche il rapporto tra cancellerie e consulenti).
La sostituzione di un consulente, ad esempio, produce un intoppo non indifferente perché comporta la scelta e la nomina di un sostituto. La nomina non è quasi mai fatta nella stessa udienza del giuramento a cui poi deve seguire l’avvio delle indagini peritali. Sottesi a questo intoppi sarebbero la mancanza di controllo sull’albo dei consulenti, la insufficiente preparazione e la scarsa professionalità di alcuni CTU e il lavoro eccessivo dei più preparati.
La sostituzione accade anche quando c’è un errore nella nomina: in una causa è stato nominato un medico legale per effettuare una perizia relativa a una disputa di confini tra terreni agricoli.

2. Quadro di sintesi dei dati raccolti
La raccolta di informazioni ha interessato:
- 35 uffici giudiziari
- 98 operatori di cui
* 78 avvocati
* 11 consulenti (10 medici legali e 1 tecnico-agrario)
* 9 magistrati

Gli uffici giudiziari sono i seguenti

Arezzo 2 intervistati, Lodi 1, Ascoli 1, Matera 4, Bari 2, Milano 21, Bergamo 1, Modena 1, Bologna 1, Napoli 2, Brescia 2, Padova 6, Brindisi 1, Palmi 1, Cagliari 1, Parma 1, Catania 1, Perugia 4, Catanzaro 1, Pisa 2, Cecina (LI) 1, Roma 10, Cosenza 1, S. Maria Capua V. 2, Ferrara 1, Taranto 10, Firenze 2, Torino 6, Foggia 2, Trieste 1, La Spezia 1, Vercelli 1, Lanciano 2, Verona 1, Lecco 1

Le domande poste hanno riguardato l’applicazione nelle diverse sedi giudiziarie di quanto previsto in merito alla tenuta degli albi, alle regole di nomina e di sostituzione, ai costi, e una valutazione circa quanto effettivamente accade con l’indicazione di problemi e questioni.

3. Dati e situazioni patologiche


Di seguito sono illustrati le informazioni emerse dalle interviste e le particolari situazioni di disfunzione e di disorganizzazione che si presentano quotidianamente. Tali diffuse situazioni possono essere definite patologiche in quanto incidono gravemente sull’andamento delle cause.

a. La gestione degli albi di consulenti e il loro aggiornamento

In tutte le sedi giudiziarie esiste un albo a cui i consulenti si iscrivono facendo domanda al presidente del tribunale e corredandola dei documenti previsti. L’esistenza dell’albo dovrebbe essere finalizzata a facilitare la scelta dei consulenti, permettere una verifica sulla loro qualità professionale e, infine, consentire la trasparenza delle procedure di nomina e di espletamento delle operazioni peritali.

In realtà le cose sembrano essere più complicate. L’assenza di un albo a Modena, il fatto che gli avvocati non conoscano appieno le norme che regolamentano la tenuta di tali albi e il loro aggiornamento sono fatti che indicano come tutta questa area appaia in qualche maniera lasciata a se stessa, abbandonata e fuori da controlli rigorosi.

L’aggiornamento degli albi, infatti, risulta essere fatto (70 sì, 10 no, 18 non so), ma la gran parte degli intervistati non è al corrente delle modalità e dei tempi di aggiornamento. Sono a conoscenza della periodicità dell’aggiornamento meno della metà delle persone: a Milano solo 13 persone su 21, a Roma 1 su 10, a Taranto 1 su 10, ecc.

L’aggiornamento non è realizzato uniformemente sul territorio nazionale e non viene rispettata la norma che prevede che lo sia ogni 4 anni. In alcune città, come Milano e Roma, l’aggiornamento avviene ogni anno, mentre a Catania passano in media 5/10 anni e in altre città esso è conseguenza delle cancellazioni, dei decessi e delle nuove domande.


Milano ogni anno
Roma ogni 3/4 mesi
Taranto ogni 4 anni
Torino annualmente
Padova dai 4 a ogni anno (discordanti le risposte)
Trieste ogni due anni
Foggia mai
Bari ogni due anni
Brindisi ogni 3 anni
Catania ogni 5/10 anni
Catanzaro in tempo reale
La Spezia ogni anno
Matera ogni anno
Napoli ogni anno
Palmi ogni anno
Parma ogni 4 anni
Pisa ogni anno
S. Maria Capua V. ogni anno
Taranto ogni 4-5 anni
Trieste ogni 2 anni
Bologna in base alle nuove iscrizioni
Lanciano in base alle domande di cancellazione, iscrizioni ecc.
Lecco in base alle domande di cancellazione

In alcune sedi, come Foggia, agli intervistati risulta che l’albo non venga mai aggiornato.

b. i criteri di scelta dei consulenti tecnici, il controllo sulle incompatibilità e sulla indipendenza

Anche per quanto riguarda la scelta dei consulenti la variabilità sembra la regola. La scelta in base all’albo, secondo gli intervistati, avviene solo per il 50%. Il giudice può anche decidere di ricorrere ad albi di altre regioni o città.

Alcuni giudici si scelgono propri consulenti “di fiducia” che utilizzano sempre, altri utilizzano come criterio quello del rapporto di conoscenza pregressa, altri si basano sulle competenze e le qualità professionali indicate dall’albo. Non è però sempre la qualità, vale a dire la competenza professionale, a dirigere la scelta. E’ indicativo come in 13 intervistati tra cui 9 avvocati, 1 magistrato e 3 consulenti, sostengano che i consulenti vengono scelti perché conoscenti del giudice. E’ capitato anche che il giudice scegliesse come consulente tecnico il consulente della parte offesa non ancora costituitasi parte civile perché stimato sul piano professionale.

Altri due casi particolari:

* un pretore del lavoro di Roma individua i consulenti tecnici secondo il nome di battesimo e non controlla né le competenze né le qualifiche cosicché può accadere che in un caso di quantificazione di una pensione di casalinga venga scelto un medico legale;

* a Napoli - non è accaduto una volta sola - sono stati nominati quali CTU specialisti in malattie veneree per decidere su questioni inerenti ai minori.

I consulenti sono quasi sempre nominati all’interno della regione (87 Sì; 11 No).

Per quanto riguarda l’area medica, non sempre i consulenti sono medici legali. Frequentemente sono nominati come medici legali medici non specialisti. A volte, sono specialisti nel settore oggetto del caso. Sempre più spesso si scelgono collegi di consulenti (medico legale più specialista). Tale procedura viene adottata per una maggiore qualità della consulenza. In questo caso, però, la parcella è doppia (32 Sì). L’utilizzazione di consulenti non medici legali, tuttavia, è stato rilevato da vari intervistati come un problema, in quanto la consulenza sarebbe carente sotto il profilo medico legale che è quello che unisce due discipline (giuridica e medica) ed è in grado di individuare il nesso di causalità, il soggetto responsabile e la gravità della colpa.

Un altro problema rilevante su cui è necessario porre attenzione perché è frequente ed è fonte di ambiguità (se non anche di consulenze “scorrette”) è quello della incompatibilità per motivi professionali, di amicizia, ecc. Le incompatibilità non vengono sempre controllate dal giudice come sarebbe necessario. Secondo quanto emerge dalle interviste raramente il giudice indaga se il CTU abbia motivi per astenersi (sì 21; no 57; a volte 20).

Alcuni esempi illuminanti.

* A Napoli, nell’ambito penale, un medico legale è consulente di parte (di una USL) in un processo che vede una USL sotto giudizio ed allo stesso tempo è anche consulente tecnico d’ufficio (per cui si richiede la massima imparzialità e correttezza) in un altro processo in cui è coinvolta è sempre la stessa USL.

* In un processo penale che si celebra in provincia di Roma è stato nominato consulente del giudice un medico legale dipendente della stessa USL nei confronti della quale si chiede la condanna dei medici e della struttura ospedaliera. Il PM, avvertito del problema, finora non ha ritenuto di procedere alla sostituzione.

* A Sassari, è stata decisa una causa civile sulla base di una relazione di un CTU che nel precedente giudizio penale era stato consulente di parte. La richiesta di ricusazione è stata rigettata perché il giudice ha reputato essere tardiva.

* In un processo penale celebrato in provincia di Roma, il medico che era intervenuto per salvare un bambino nato in un altro ospedale e con problemi di sofferenza fetale, si è trovato nominato consulente del GIP. Nessuno dei due - medico e GIP - hanno pensato che potesse esserci una incompatibilità oggettiva data dal fatto che il medico aveva curato la “parte lesa” del processo e quindi non poteva essere indifferente al caso.

* A Taranto, l’avvocato è riuscito a ottenere la ricusazione del CTU il quale era incompatibile in quanto fiduciario dell’assicurazione della azienda ospedaliera parte nel processo civile.

Una questione sottolineata soprattutto dagli avvocati è quella della qualità professionale e del controllo da parte dei rispettivi ordini. L’Ordine dei medici non ha mai controllato e impedito il fatto che semplici medici scrivessero sulla propria carta intestata la dizione “consulente tecnico del tribunale”, facendo così pensare a una specializzazione che in realtà non esiste.

Altri elementi utili a comprendere meglio i problemi che si affrontano provengono dalle risposte degli intervistati e riguardano i motivi di ricusazione e vicende in cui sono state accolte o rigettate le relative istanze.

Possono al riguardo essere riportate alcune risposte degli intervistati:

* la ricusazione per incompatibilità molte volte riguarda l’area medica (La Spezia);
* a volte è stata chiesta e concessa la ricusazione perché il CTU aveva manifestato orientamenti negativi in precedenti simili in casi previdenziali in sede civile (Bari);
* è stata chiesta e ottenuta la ricusazione per rapporti di parentela o di pregressi incarichi professionali (le materie sono tecniche, medico legale, commerciale) (Lanciano);
* il CTU era stato in un altro giudizio civile il consulente di parte della controparte attuale in materia agraria (Palmi);
* non viene quasi mai accertata e dichiarata l’incompatibilità per le appartenenze a logge massoniche dei consulenti e delle parti nello stesso processo e questo diventa rilevante soprattutto per le questioni sanitarie (Firenze e Perugia) specie in ambito civile;
* ci sono incompatibilità che dovrebbero essere motivo di ricusazione per i consulenti che sono fiduciari delle compagnie di assicurazioni o appartenenti al medesimo studio medico di altri consulenti di parte (Torino e Milano), ma è difficile dimostrare problemi di indipendenza o meno del consulente nel settore sanitario (Modena);
* si hanno spesso casi di manifesta incompetenza in materia di previdenza e responsabilità professionale medica soprattutto nel processo civile (Napoli);

La procedura di ricusazione sembrerebbe non incontrare particolari ostacoli. A volte, però, viene considerata come una dimostrazione di sfiducia nei confronti del giudice. E’ significativo quanto affermato da alcuni avvocati circa lo scarso coraggio da parte degli stessi avvocati a chiederla o a chiedere nella fase preliminare di scelta del CTU la sostituzione per incompatibilità.

c. la standardizzazione dei quesiti e le consulenze erronee

Un dato preoccupante che sembra riguardare soprattutto i grandi uffici giudiziari come Roma e Milano, ma anche Taranto e Padova, e settori come quello medico è la cosiddetta standardizzazione dei quesiti, vale a dire l’utilizzazione di moduli precompilati in cui si chiede al consulente di individuare il nesso di causalità e la responsabilità relativa. Anche in questo caso risulta una grande variabilità, come si vede dalla tabella seguente.

quesito specifico 49
quesito standardizzato 39
variabile 7
non risponde 3

La standardizzazione dei quesiti fa ritenere che i giudici non abbiano avuto modo di studiare il fascicolo e quindi di comprendere appieno i nodi della questione posta dalla parte attrice o dalla parte lesa (nella denuncia). Ciò può determinare un carente approccio al caso e difficoltà nell’esame da parte del consulente con relativa perdita di tempo. Un quesito specifico potrebbe, invece, consentire una verifica più corretta e approfondita. A Milano, da poco, i pubblici ministeri quando dispongono l’autopsia legale inviano ai consulenti, tramite la polizia giudiziaria, un modulo precompilato. In questo modo però non avviene la trasmissione di informazioni e di dati sul caso e il rischio di incompletezze si moltiplica.

Diretta conseguenza di ciò è la necessità di ulteriori valutazioni e di chiarimenti, unico strumento a disposizione della parte per contestare punti della consulenza che si ritengono non esaustivi o erronei. I chiarimenti vengono accolti dal giudice senza particolari impedimenti, ma producono ulteriore trascorrere del tempo e non sempre portano a una rettifica.

All’udienza in cui è convocato il CTU per chiarimenti è quasi sempre ammessa la presenza dei consulenti di parte e normalmente avviene una discussione. E’ importante questo aspetto dal punto di vista delle garanzie di contraddittorio fra le parti coinvolte (35% circa delle volte c’è contraddit
torio) e per il fatto che è possibile un reale confronto tra le diverse tesi proposte.

E’ più difficile, invece, che il giudice accolga la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica, anche quando è evidente un valutazione non corretta.

sempre accolta 1
spesso 9
a volte 40
quasi mai 40
mai 1
non rispondono 7

A questo riguardo possono essere riportati alcuni esempi.

* A Milano, in un caso di responsabilità medica in ambito civile per ritardo diagnostico, il CTU prima ha accertato la sussistenza senza alcun dubbio del ritardo ma poi, in sede di conclusioni, ha affermato per attenuare la responsabilità del collega che il ritardo poteva essere giustificato dalla rarità della malattia.

* A Roma, il giudice delle indagini preliminari ha archiviato un caso nonostante 6 consulenze di specialisti di rilievo contrarie alla perizia del consulente del pubblico ministero, portate dalla parte civile. Il pubblico ministero, inoltre, non ha allegato nel fascicolo da inviare al GIP l’ultima perizia, sempre a suo sfavore.

* Sempre a Milano, in una questione relativa a un brevetto, oggetto di una causa civile, la CTU depositata è palesemente erronea poiché si poggia su un sbagliata traduzione dall’inglese. Gli avvocati di una delle parti dimostrano l’errore attraverso consulenti e manuali. Ma questo per il giudice istruttore non è sufficiente.

* A Roma, in sede civile: concorso di colpa in un incidente stradale. Il giudice si avvale per la decisione della consulenza di un perito che afferma testualmente: “l’attore (il pedone) attraversava la strada senza cinture di sicurezza allacciate”.

In questo senso, un problema molto avvertito è quello della modifica degli strumenti in grado di contrastare le consulenze dei giudici. Soprattutto per la parte offesa nella fase delle indagini preliminari non esistono tali strumenti. Infatti, proprio nel processo penale, il pubblico ministero tende a fondare la sua decisione sulla base delle risultanze della perizia del suo consulente, anche se essa risulta erronea. Al difensore della persona offesa non resta che l’opposizione alla inevitabile richiesta di archiviazione, con tutte le difficoltà connesse, mentre al difensore dell’indagato non resta che sostenere un lungo dibattimento e far valere in quella sede le proprie ragioni. Sarebbe necessaria una partecipazione anche dei consulenti delle parti all’espletamento della consulenza del Pm e una maggiore possibilità di contraddittorio in tutte le fasi del processo.

d. il deposito delle consulenze e le sanzioni ai ritardi

Il momento certamente più problematico è quella relativa al tempo impiegato dai consulenti a depositare le perizie.

E’ frequente il ritardo nel deposito

sì 57
a volte 34
no 6
non rispondono 1

Quante volte è capitato all’intervistato

sempre 4
spesso 48
a volte 33
quasi mai 1
mai -

E’ evidente che i ritardi sono all’ordine del giorno e che ammontano a diversi mesi: si va dai 2 mesi di Verona ai 15 e più di Trieste. Ad Ascoli risultano ritardi di 6/7 mesi mentre a Milano, a Napoli e a Bergamo la variabilità è ampia (dai 3 agli 8 mesi). Le punte più alte sono a Lanciano 9 mesi, a Roma 10 mesi, a Modena 24 mesi.

L’atteggiamento “compiacente” dei giudici nel concedere proroghe per il deposito delle perizie è messo in evidenza da più della metà degli intervistati.

Purtroppo, anche per quanto riguarda le sanzioni ai ritardi è da rilevare che esse sono rare. Dalle risposte risulta che sono pochissime (72 no e 15 a volte su 98 intervistati). Questo è uno degli atteggiamenti di lassismo già riscontrati nell’indagine del ‘95 e che - al di là del valore statistico della presente raccolta di informazioni - si riscontra tuttora.

Le poche sanzioni che sembrano più attuate sono la revoca dell’incarico e la riduzione dell’onorario.

Un altro problema segnalato riguarda la presenza in udienza dei CTU che spesso viene a mancare a causa di impegni contemporanei del consulente. In questo caso l’udienza viene rinviata a distanza di diversi mesi.

Al di là dei numeri, alcuni esempi possono illustrare la situazione.

* A Savona, in un processo civile di
"malpratica", il CTU non presenta da oltre 8 mesi la sua relazione. Il giudice lo ha sollecitato 3 volte e ha deciso di dimezzare l’onorario. Il consulente continua a non presentarsi. Non si è proceduto con la sostituzione.

* A Reggio Calabria, in ambito penale, dopo due anni di mancato deposito della consulenza tecnica d’ufficio, l’avvocato difensore della parte civile chiede al magistrato un intervento per sollecitare il CTU e l’applicazione della la sanzione, ma il giudice tentenna perché ha timore di non poterlo più utilizzare.

* A Roma, in un processo civile, 4 udienze sono andate a vuoto (due anni di ritardo) perché il CTU non si presenta nemmeno per il giuramento. L’avvocato della parte attrice ha chiesto la sostituzione e la cancellazione dall’albo e il giudice ha accolto le richieste.

* A Pesaro, in sede penale, dopo due proroghe andate a vuoto senza deposito della perizia, l’avvocato ha chiesto e ottenuto dal giudice la riduzione di 1/4 dell’onorario del consulente medico.

* Innanzi alla 4° sezione civile del Tribunale di Napoli in un caso avente ad oggetto danni per lesioni per un soggetto invalido totalmente, da circa 2 anni e mezzo il collegio dei periti non deposita la perizia e il giudice istruttore non prende alcun provvedimento.

e. il costo delle consulenze e l’accesso alla giustizia

L’accesso alla giustizia dei cittadini rimane nel nostro paese una delle questioni ancora non risolte e le difficoltà vissute dalle persone sono particolarmente evidenti anche in questo ambito. In ambito civile la parte attrice deve pagare, oltre alla propria consulenza di parte, anche l’anticipo della consulenza del giudice. In ambito penale, la consulenza è a carico dello Stato e il cittadino se lo ritiene opportuno paga il proprio consulente di parte. Sarà la parte soccombente che poi pagherà tutto l’onorario alla fine del processo.

I costi dell’anticipo della consulenza in sede civile variano molto, con una media di lire 500.000 fino a 1 milione o addirittura 2 milioni in sedi come Milano e Ascoli Piceno. Nello stesso ufficio giudiziario si passa dalle 300 mila lire a 1 milione e mezzo di anticipo, come a Roma o Lanciano. Le cifre più basse risultano a Taranto e a Trieste. Ad Ascoli Piceno risulta che le consulenze si aggirino tra il milione e mezzo e i due milioni e mezzo.

C’è un elemento di novità da mettere in evidenza - il quale non risolve però il problema - rappresentato da una recente sentenza della Corte di Cassazione che riconosce le spese relative alle consulenze tecniche e di parte quali spese che lo stato è tenuto a sostenere per tutti i soggetti che accedono al gratuito patrocinio. Purtroppo, l’accesso è ancorato ai 10 milioni di reddito.

f. Il peso delle consulenze nel processo e la tutela del contraddittorio

Si è già citato il fatto che le consulenze hanno un peso determinante nella decisione del caso. Questo è anche il parere di quasi tutti gli intervistati.

Soprattutto per materie tecniche, in cui servono particolari cognizioni tecnico-scientifiche (come la medicina e l’ingegneria), ma anche per settori come quello agrario, la consulenza rischia di trasformarsi da strumento di valutazione dei fatti a prova vera e propria e quindi a essere una “sentenza anticipata”. Il giudice, in questi casi, è quasi costretto ad “allinearsi” alle indicazioni del consulente.

Per impedire ciò sarebbe forse necessario che si formassero sezioni specializzate di giudici e che si prevedesse un maggiore contraddittorio, concedendo una sorta di “impugnabilità” delle consulenze.

4. Conclusioni

E’ evidente che esiste una vera e propria questione della qualità professionale e della trasparenza delle procedure relative ai consulenti e all’area della consulenza. Non sembrano essere più sufficienti, infatti, quali requisiti, la “speciale competenza nella materia, la condotta morale specchiata e l’iscrizione alle rispettive associazioni professionali”. In questo senso emerge la necessità di una riforma sistematica che individui non solo soluzioni normative ma, soprattutto, strumenti concreti da utilizzare quotidianamente che impediscano il ripetersi di disfunzioni e di cattive prassi caratterizzate da scarsa trasparenza, lassismo, mancati controlli, ecc. Ciò che emerge in maniera certa dall’indagine è che questo settore è in stato di abbandono e per questo sono possibili comportamenti scorretti, modalità differenti di nomina e di controllo, assenza di sanzioni.

Alcune di queste questioni sono al centro di riflessioni e di proposte legislative in sede italiana e comunitaria. A tale proposito e anche in relazione alle informazioni raccolte, ci sembra opportuno avanzare tre proposte che potrebbero concorrere ad affrontare globalmente l’area della consulenza nel processo e ad approntare modifiche concrete.

La prima proposta riguarda la creazione di un tavolo di confronto tra operatori della giustizia (avvocati e magistrati), consulenti tecnici e rappresentanti dei cittadini che, insieme al Ministero di Grazia e Giustizia, prenda in esame i problemi e individui le soluzioni e metta in agenda proposte anche legislative (ma non solo). I vantaggi di un tavolo di discussione sono quelli di costruire una visione generale del problema raccogliendo tutti i punti di vista coinvolti. Anche i cittadini - da sempre esclusi nella riforma della giustizia - avrebbero così la possibilità di porre al centro del confronto quegli aspetti che incidono gravemente sull’accesso alla giustizia e sulla effettività della tutela giudiziaria, come i costi, i ritardi e l’indipendenza dei consulenti.

La seconda proposta concerne una decisa responsabilizzazione dei Consigli giudiziari che sono gli organi preposti al funzionamento e al controllo circa la gestione degli uffici giudiziari. Essi possono rappresentare il luogo fisico dove trovare le soluzioni al livello locale e quindi per ogni ufficio giudiziario per le singole e concrete disfunzioni che si presentano nella quotidianità. I Consigli giudiziari potrebbero, in questo senso, prevedere momenti di verifica da realizzare insieme ai movimenti dei cittadini e agli operatori, così da apportate modifiche subito senza aspettare - quando non è necessario - cambiamenti legislativi che hanno tempi lunghi e complicazioni proprie. Alcune sperimentazioni sono state già fatte in alcune sedi giudiziarie - come a Roma - riguardo alle carenze organizzative degli uffici copie.

Una terza proposta può essere quella di inserire nell’agenda politica e in particolare del Parlamento e poi appoggiare quelle proposte di legge (giacenti da tempo) finalizzate ad una maggiore garanzia di professionalità del CTU come, ad esempio, la proposta di legge sui medici legali.

*Fonte:su gentile concessione a criminologia.it da parte di Alessandro Cossu.
La  ricerca è stata condotta a cura di: "Giustizia per i diritti", la rete di professionisti del diritto di Cittadinanzattiva onlus (ex Movimento federativo democratico).